mercoledì 8 dicembre 2010

L'8 dicembre

Christmas night, another fight
Tears we’ve cried are flood
Got all kinds of poison in
Of poison in my blood

I took my feet to Oxford street
Trying to right or wrong
Just walk away those windows
But I can’t believe she’s gone

When your still waiting for the snowfall
Doesn’t really feel like Christmas at all

A group of candles on me are flickering
Oh they flicker and they flow
And I am up here holding on to all those chandeliers of hope
And like some drunken in this city
I am go singing out of tune
Singing how I always loved you darling
And how I always will

But when your still waiting for the snowfall
Doesn’t really feel like Christmas at all
Still waiting for the snow to fall
It doesn’t really feel like Christmas at all

Those Christmas Lights
Light up the street
Down where the sea and city meet
May all your troubles soon be gone
Ohh Christmas Lights keep shining on

Those Christmas Lights
Light up the street
Maybe they bring here back to me
Then all my troubles will be gone
Ohh Christmas Lights keep shining on

Ohh Christmas Lights
Light up the streets
Light up the fireworks in me
May all your troubles soon be gone
Those Christmas Lights keep shining on 
(Coldplay - Christmas lights)

Luci blu ghiaccio che si accendevano e si spegnevano ritmicamente….si guardava intorno quasi spaesato dopo essere uscito dalla metropolitana si trovava in quell’enorme piazza, piena di quelle luci che catturavano i suoi occhi, e le gente, frenetica che camminava con pacchi e pacchetti tra le mani lo disorientavano, ma al suo fianco c’era lei che lo guidava in quella città troppo grande per lui.
Un grosso albero di natale si innalzava davanti alla cattedrale con mille luci d’orate, stupendo, era immenso e allora perché non scattargli una foto con il cellulare per poi metterlo come sfondo? Sarebbe servito per ricordare quei giorni passati insieme ed in compagnia dell’amore, sarebbe servito per avere una nuova immagine da immagazzinare nella mente.
Mentre suo padre a casa, come ogni anno e come in ogni giorno dell’immacolata concezione di Maria preparava l’albero di Natale, Setih gli raccomandava di non preparare pure il presepe che tanto lui amava fare e che lo avrebbe realizzato non appena sarebbe ritornato da Milano.
Ed intanto continuava quella passeggiata per la città, in mezzo a bancarelle di Natale e in mezzo a tutti quei negozi immensi.
Luci blu ghiaccio che si accendevano e si spegnevano ritmicamente avevano fatto viaggiare Setih in quel ricordo che custodiva con gelosia dentro al suo cuore, mentre preparava con suo padre un alberello striminzito, giusto per farlo perché quello che si apprestava a vivere non era un Natale speciale, ma un giorno triste senza il suo amore. E tanto avrebbe voluto scrivere una lettera a babbo natale come un bimbo piccolo sognava di ricevere un bel gioco o qualcos'altro, mentre per lui non era un giocattolo o una cosa quel che desiderava riavere…ma semplicemente una persona speciale.

lunedì 29 novembre 2010

Una notte da emigratore

Mille volte si fanno delle cose solo per vivere delle emozioni, anche se quelle cose sono dure da affrontare, sono difficili da fare e sono stressanti da sopportare, ma le si fanno perché si sa che poi sarà tutto meraviglioso e tutta quella fatica e quella dura prova che si è sopportato sarà nulla in confronto alla gioia ed alla felicità che si proverà. Il gioco vale la candela, anche se spesso si dice che mai più si rifarà tutta quella fatica. Il gioco vale la candela, sempre perché vale la pena amare e dare tutto quello che si ha piuttosto che vivere vuoti e seduti su un divano.


Quel treno sfrecciava…e lui si trovava dentro a quel vagone, solo, in mezzo a tanta altra gente che parlottava e dormiva, mentre lui guardava quei posti che  conosceva  e che sfrecciavano alla stessa velocità del treno. Guardava passare le città una ad una mentre il suo cuore era in un altro posto. Chissà come sarebbe stato quando si fosse presentato sotto casa a quell’ora? Chissà come avrebbe reagito lei ignara di tutto ciò? Pochi mesi prima pianse per il solo pensiero di lasciarlo a Foligno, mentre domani avrebbe pianto per la gioia di riabbracciarlo? Intanto Setih stava odiando quel treno, come sempre lo aveva odiato, lo rendeva triste e annoiato, avrebbe attraversato mezza Italia in macchina se solo il padre glielo avrebbe concesso. Invece era li seduto tra mille pensieri e ricordi ad aspettare che quelle nove ore di viaggio passassero con la velocità del treno.
Il telefono vibrò, era lei per dargli la buona notte e prima di rispondere pensò ad un modo per ovattare il rumore continuo delle rotaie, sarebbe bastata una semplice mano a coprire l’intero cellulare? Sarebbe bastato a coprire il chiacchiericcio dei passeggeri? O il controllo avrebbe rovinato tutto? Era ora di rispondere e rischiare…”Amore..” esordì Setih. La chiamata stava andando bene, tutto era perfetto e i rumori in quel momento sembravano attenuarsi e la voce di Maria non era sospettosa. Già era tutto perfetto fino all’entrata in un tunnel, rapido come il buio che invase la locomotiva, il pianto di un bambino e il vento che si scagliava contro la finestra. Il panico si impossessò di Setih, ecco era tutto finito, la porta che si apriva e l’emozione di lei nel vederlo fuori dalla sua casa, stava diventando un semplice incontro alla stazione. Tutti i mille film fatti si infransero su quel tunnel e lei “che sono quelle voci?” Setih rispose con fare tranquillo “la tv” già la tv aveva sistemato tutto. La sorpresa era ancora sorpresa e lei si sarebbe svegliata presto per fare un giochino di prima mattina con Setih al cellulare. La telefonata durò poco e tutto filò liscio, il sollievo di non aver rovinato tutto e la voglia di sentire ancora la sua voce erano in bilico e pendevano sullo stesso livello della bilancia. “Ho detto ad un uccellino quanto ti amo e questo volerà da te tutta la notte e domani mattina ti dirà quanto ti amo” L’ultimo messaggio della giornata, il messaggio della buona notte. Intanto, il treno sfrecciava, ma le ore camminavano a passo lento.
Arrivato ad Ancona dovette scendere per prendere la coincidenza, e la coincidenza volle che dovette stare li in quella stazione ad aspettare un’ora intera da solo in mezzo a gentaccia e barboni, appoggiato su un muro con il pensiero fisso di dover sopravvivere per arrivare a destinazione. Erano le 24 e alle una sarebbe arrivato il tacito da Lecce che lo avrebbe portato a Milano.
Uscì dalla stazione, un caffè al bar ed una passeggiata lo fecero tenere sveglio, poi l’idea di chiamare i suoi amici giusto per scambiare quattro parole con qualcuno e per far passare un po’ di tempo, si infatti passarono solo 10 minuti e lui aveva ancora cinquanta minuti da passare appoggiato con la schiena sul muro a vedere drogati e pazzi che correvano per la stazione, barboni sdraiati sul pavimento che ronfavano di gusto e la gente che aspettava il tacito che parlottava con i propri compagni. Pure Setih parlottava, con il suo io, e gli domandava ogni volta il motivo di tale sciocchezza, ma certo che l’io glielo ricordava fin troppo bene e si che lo faceva stare bene.
Finalmente arrivò il treno sul primo binario e quando salì dovette cercare il suo posto in mezzo a tanta e tanta gente, chissà se doveva rimanere in piedi? Entrò nella sua cabina e vide che il suo posto era già occupato da uno che ronfava con il cappello sugli occhi, non lo avrebbe smosso di un centimetro, però davanti a lui un posto vuoto, così li, si sedette e con le cuffiette nelle orecchie provò ad imitare quello che gli aveva rubato il posto. Il freddo era troppo pungente per poter fare una dormitina, la mano fissa nel portafoglio e l’alba che ancora non si vedeva. Passavano lente le ore fin quando il macchinista non annunciò la fermata tanto attesa. La stazione di Milano era immensa, fu la prima volta che si ritrovava in quella stazione-centro commerciale. Mille persone che andavano e venivano e lui aveva solo un indirizzo che non sapeva come usare. Così comprò una cartina della città e aprendola vide che si trovava da tutt’altra parte la porta che lo attendeva. Montò su un taxi e si fece portare in quella via sperando che li ci fosse pure un bar per fare colazione e magari prendere un cornetto pure per la sua ragazza. Arrivato si guardò intorno. Tutte le case erano uguali non sapeva quale porta fosse, solo una piccola intuizione, ma non molto convincente. Prese il cellulare e la chiamò, ma no! Era al telefono con la madre e borbottando fece su e giù per la via fin quando non gli rifece uno squillo. La richiamò e gli disse “E’ arrivato l’uccellino?” Lei non aveva compreso così dopo qualche minuto a subire il gelo si mise davanti ad una porta, quasi sicuro che fosse quella e quando lei apri con fare timido la richiuse subito dopo incredula per poi riaprirla con fare eccitato. Si baciarono e sfinito entrò in casa.
Le emozioni di quella nottata sfrecciavano, come sfrecciava quel treno che chissà dove era diretto, solo, Setih davanti a quel passaggio a livello avrebbe voluto sfrecciare insieme alle locomotive.

lunedì 22 novembre 2010

Favola


Vorrei essere il raggio di sole che
Ogni giorno ti viene a svegliare per
Farti respirare e farti vivere di me
Vorrei essere la prima stella che
Ogni sera vedi brillare perché
Così i tuoi occhi sanno
Che ti guardo
E che sono sempre con te
Vorrei essere lo specchio che ti parla
E che a ogni tua domanda
Ti risponda che al mondo
Tu sei sempre la più bella
Na na na na na na na na na… 
(Favola, Modà)

Una mattina intera spesa a provare e riprovare ad imitare quella voce e finalmente dopo ore di tentativi sembrava essere venuta decentemente. Il pomeriggio, a preparare il percorso e i bigliettini con domande ben precise ed il giorno dopo a comprare quel qualcosa in più che servisse a rendere la serata speciale. Tutto era pronto, bastava attendere che le ore passassero ed il sole calasse per lasciar spazio alla pallida luna. Setih non poteva fare a meno di immaginarsi la serata e come sarebbe stata e così quando arrivò il momento, prese la sua Croma blu e l’andò a prendere come un bel cavaliere sul suo cavallo. Cenarono con una piadina e con una bottiglietta di spumante brindarono a quell’anno che avevano passato insieme con tanto amore. Già era passato un anno da quando lei gli chiese di iniziare una vera storia e lui accettò quasi a stento, forse per paura, ma accettò.
Finita la cena davanti a quel lago circondato da pioppi ormai privi di foglie ed illuminati solamente dalla luce dei fari dell’auto lasciati accesi solo per quello, rientrarono in macchina ed il gioco iniziò.
Quale era il posto dove uscirono il primo giorno e passarono un bel pomeriggio a parlare delle loro vite? Lei indicando la panchina a pochi metri da loro rispose alla domanda del biglietto che Setih poco prima gli diede. “E’ qui” disse e come primo regalo ottenne un cd creato da lui solo per quella serata. Lo inserirono nel lettore della macchina e loro seduti sui sedili posteriori ascoltarono la prima melodia….”Ora vi racconto una storia che …farete fatica a credere…”  lei rimase immobile con gli occhi spalancati verso di lui, aveva riconosciuto la sua voce, infatti era Setih a cantare “Favola” la canzone che molte volte avevano ascoltato insieme. Più la canzone si fece viva e più caddero lacrime di felicità dal suo volto, sembrava davvero felice e Setih lo era ancor di più, era meglio del suo film mentale.
Finita la prima sorpresa e mentre lei si asciugava ancora le lacrime, lui gli disse che non era finita e lei rispose “A me basta questa”  Ma Setih aveva preparato altro per la serata, molto altro, voleva che quella serata fosse indimenticabile per entrambi, già indimenticabile, così gli porse il secondo biglietto.
Quale era il posto dove due cinesini li videro baciare per la prima volta? E lei rispose “portami all’aeroporto di modellini” e così fece. Dopo qualche minuto arrivarono, Setih portò la macchina nella stessa posizione di quella serata, poi un botto e lei si schiantò subito tra le braccia di lui. Con un sorriso Setih gli voltò lo sguardo con la mano e lei rimase a bocca aperta nel vedere quei fuochi d’artificio che partivano a pochi metri da loro e si infrangevano in quella serata stellata rimbombando nell’oscurità. “Non ho parole” disse lei mentre guardavano quelle luci colorate nella notte. Ma lui sapeva che non era finita e dopo essersi scambiati qualche bacio gli diede l’ultimo biglietto, forse il più importante.
Quale era il posto dove una Madonnina aveva visto crescere il loro amore? E lei rispose “portami alla tronca” e così fece nuovamente. Arrivarono in quella stradina di campagna e lui era troppo emozionato per parlare, così dopo aver detto qualche dolce parola gli diede il pacchettino. Maria aspettò pochi secondi prima di aprilo e poi caddero altre lacrime mentre guardava quel brillantino dentro alla scatolina. Un anello che avrebbe significato molto per Setih e sperava che lo stesso valeva per lei.
Tutto era mille volte più bello di come se lo era immaginato.
Così chiuse gli occhi per scattare nella mente quella serata che sicuramente non si sarebbe mai dimenticato, ma quando li riaprì era nel letto a ricordare quel giorno senza di lei. Erano passati altri due anni e per la prima volta non era con lei. Chissà che fine avrebbe fatto quel piccolo anellino, quei fuochi d’artificio e quella canzone che con tanto amore le aveva cantato.

lunedì 15 novembre 2010

La cima della speranza


Quando si cammina in salita, si scala una vetta e ci si affatica per arrivare fino in cima, niente è importante nemmeno il battito del cuore accelerato né il fiato a corto e neanche i muscoli indolenziti, niente è importante quanto la voglia di arrivare lassù, dove tutto potrà sembrare diverso e incredibilmente bello, dove scendere sarà l’ultima cosa che avrai voglia di fare, dove vorresti rimanere lì per il resto della tua vita.



Appollaiati sopra alla croce di ferro, come tre piccioni, ammiravano il paesaggio che li lasciava senza parole. Montagne, vallate ed un cielo sereno con delle nuvole che andavano di fretta come se stessero nel bel mezzo di una gara, colori che ipnotizzavano i suoi occhi e la sola voce del vento che gli sussurrava nelle orecchie, Setih si sentiva come mai si era sentito, un’emozione troppo forte per poterla descrivere e voltandosi andò alla ricerca, con lo sguardo, del resto del gruppo, sdraiato sulla bassa erba per prendere il sole.
 Ci mise un po’ per riconoscere, in mezzo a quelle formiche, dov’era l’altra sua meraviglia, quella ragazza che poteva renderlo felice come lo era in quel momento. Poi si accorse di una coccinella che si arrampicava sui suoi pantaloni, la prese e la portò sul palmo della mano mentre parlottava con Stefano e Filippo. Arrivata fino al dito indice spicco il volo con le sue piccolissime alette nere e chissà se quel desiderio si sarebbe realizzato.
Abbassò lo sguardo ai piedi della croce e vide un mare di piccole macchie rosse a puntini neri. Era come se tutte le coccinelle si erano riunite li sotto, per cercare una sorta di protezione in quella croce  che svettava sulla collina.
I tre amici scesero dalla croce di ferro e decisero di ritornarci con gli altri quando la notte sarebbe calata.
Così fecero. Appena dopo aver cenato presero una pila dalla macchina e tutti insieme si arrampicarono per la collina. Di notte era impossibile ritrovare la via che li aveva condotti con facilità il pomeriggio, ma Setih con fare istintivo, mentre teneva per mano Maria Angela come per rassicurarla e aiutarla nei tratti più difficili, sembrava seguire un sentiero ben preciso, in mezzo a quel bosco dove filtrava a malapena la luce della luna. Una volta usciti da tutti quegli alberi alzarono lo sguardo e videro la croce proprio davanti a loro, era a pochi mentre da lì e sembrava attenderli.
Una volta arrivati si sederono ai piedi della croce di ferro, e rimasero lì, sotto un forte vento fresco, ad ammirare il cielo illuminato dalla luna, il paesaggio bluastro formato da montagne aguzze e vallate profonde. Tutto era magico come quell’abbraccio tra Setih e la sua ragazza. Mai se lo sarebbe dimenticato.
Chiuse gli occhi ed abbracciò forte Maria, seduta proprio davanti a lui, e restò in silenzio per un po’, fin quando quel silenzio non fu interrotto bruscamente dal clacson assordante di una macchina. La collina era sparita, come lo erano i suoi amici, e sparì anche quell’abbraccio che sperava che durasse all’infinito, invece era nel bel mezzo di una strada, a guardare una croce di ferro posta in cima ad una montagna.

mercoledì 10 novembre 2010

Certi passi...


A volte preferiresti passare altrove, a volte faresti il giro più lungo pur di non rivivere un’emozione passata, a volte ti fermeresti solo a guardare quella via per poi fare retromarcia e dargli le spalle. A volte metteresti i piedi su quella strada solo per fargli vedere quanto sei forte, solo per dimostrargli qualcosa che in realtà non c’è. Altre volte invece faresti quei passi proprio per infliggerti quelle emozioni, come se stringessi nella mano un coltello e con un colpo secco…


Avanzava con passo svelto, su quella via davanti alle scuole piene di ragazzi che non vedevano l’ora che suonasse la campanella. Gli studenti già facevano il conto alla rovescia per le vacanze estive, non mancava molto e chi doveva recuperare qualche brutto voto, cercava di fare il possibile, anche se la voglia era pari a zero. Setih invece andava di fretta perché sapeva che al contrario le sue vacanze dovevano ancora attendere, gli esami del secondo semestre si avvicinavano sempre più e gli mancava ancora da fotocopiare qualche pagina per incominciare a studiare.
Camminava a passo svelto insieme al suo amico Federico che aveva deciso di accompagnarlo per fargli compagnia, e magari, se ne avesse avuta l’occasione, anche per vedere qualche giovane ragazza aldilà della rete che lo divideva con la scuola. Andavano verso l’ufficio della madre di Setih dove, quest’ultimo, sapeva che li avrebbe potuto fare le sue copie senza pagare.
Una volta fatte, ripercorsero lo stesso tragitto per riprendere la macchina e mentre parlottavano tra di loro, Setih spostò lo sguardo davanti a se e vide Benedetta con le sue amiche di classe. Benedetta, l’amica della sua ex ragazza, quella ragazza a cui ancora pensava dopo sette mesi. Si fermarono per scambiare qualche frase di convenienza, non aveva tempo da perdere, e così passarono solo pochi secondi, ma per Setih quei secondi stavano diventando minuti e poi ore, sembrava andare tutto a rilento. Tra una parola e l’altra, cercando di non farsi vedere, tentava di catturare l’immagine di quell’amica di Benedetta, circondata da altre ragazze che parlottavano tra di loro.
Non sapeva chi fosse, ma sapeva come poterla rivedere e come poteva ottenere il suo numero di cellulare, così salutò e si avviarono nuovamente verso la macchina. Mentre camminava, ripensava a quella ragazza e di tanto in tanto il suo istinto lo portava a voltarsi per vedere se era ancora lì con le sue amiche.
Una volta tornato a casa, dovette solo attendere che Benedetta si collegasse come al solito su messenger e poi tutto sarebbe stato più facile, ma quanto era snervante quell’attesa.
Avanzava con passo lento e incerto, mentre riviveva quelle emozioni, solo, in quella mattina d’autunno e quasi non ricordava nemmeno cosa doveva fare e per quale motivo era passato per lì, sapeva solo che era stato un errore.

lunedì 8 novembre 2010

Una notte d'estate



Ramses era solo, attendeva un segno dall'invisibile.
Solo di fronte al deserto, all'immensità di un paesaggio brullo e arido, solo di fronte al proprio destino la cui chiave gli sfuggiva ancora. A ventitré anni, il principe Ramses era un atleta di un metro e ottanta, dalla splendida chioma bionda, dal volto allungato e dotato di una muscolatura sottile e potente. La fronte larga e scoperta, l'arco prominente delle folte sopracciglia, gli occhi piccoli e vivaci, il naso lungo e lievemente arcuato, le orecchio rotonde e delicatamente orlate, le labbra alquanto spesse e la mascella forte contribuivano a dare al suo volto un piglio autoritario e seducente.
(Il grande romanzo di Ramses, Christian Jacq)

Un semplice telo blu plastificato divideva le schiene dei ragazzi sdraiati sopra, dall’umida terra che sotto le stelle emanava un odore pungente. Erano tutti con lo sguardo rivolti verso l’alto, chi leggermente guardava a sinistra e chi a destra, ma tutti erano li a fotografare con i propri occhi una scintillante stella cadente in quella serata di San Lorenzo.
Appena una scia luminosa solcava il cielo nero, nessuno riusciva a trattenersi nell’esprimere gioia o stupore per la bellezza dell’immagine oramai impressa nella mente. Setih, che era in mezzo a loro, spostava lo sguardo in continuazione come per non perdersi le numerose stelle cadenti ne quella che considerava la stella più bella in assoluto, che si trovava a pochi centimetri da lui. Non aveva desideri da esprimere in quel mentre, forse desiderava solo catturare un’immagine che contenesse la lunga scia della stella ed il sorriso di Maria, solo questo desiderava.
Mentre gli altri smangiucchiavano delle patatine, lui era li che rubava qualche bacio con fare silenzioso e mentre discutevano con fare ironico su quale porzione di cielo potevano osservare più stelle cadenti, Setih spiegava con convinzione la sua teoria, in assoluto la migliore.
Chissà quale desideri stava esprimendo o chiedendo alle stelle la ragazza accanto a lui? Spesso si chiedeva questo e sperava che in ogni suo desiderio vi fosse il suo nome in mezzo, ma in fondo, dentro al suo cuore sapeva che non era così.
Chiese una sigaretta al suo amico, la prese con due dita e l’accese con fare pensieroso e mentre il fumo si innalzava verso il cielo stellato chiuse gli occhi istintivamente e riaprendoli si ritrovò nella realtà. Lo sguardo fisso verso il cielo stellato, la sigaretta tra le dita, il fumo che si innalzava nel cielo, l’auto alla sua sinistra ed il ristorante dove aveva cenato con i suoi amici dietro di lui.
Già era solo, era li senza la sua stella preferita, sotto un cielo stellato in una notte d’autunno.